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Homo ludens

Testo di Franco Cologni

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 26 Aprile - 2023

Per vivere liberi e felici, scrivevano i Padri della Chiesa, si deve sacrificare la noia: e non sempre è un facile sacrificio. Perché la noia porta con sé anche qualcosa di rassicurante, di scontato, di ripetitivo, che in questi tempi di incertezza sembra quasi consolarci. Ma la noia porta con sé pure malinconia, inerzia e disagio: caratteristiche molto contemporanee, purtroppo, e legate a quel vizio che sempre i Padri della Chiesa chiamavano “acedia”. Accidia, diciamo noi oggi: vedere il bene, avere la possibilità di essere felici, ma abbandonarsi alla noia per il timore di non farcela. O, come si dice con una felice metafora: per la paura di mettersi in gioco.

Il gioco ci aiuta a capire, oggi più che mai, come resistere al torpore dell’assertività e della noia per ritrovare invece la gioia della scoperta, l’entusiasmo per la sfida, il brivido di affrontare ogni giorno qualcosa di nuovo sapendo di possedere gli strumenti giusti.

Il gioco è da sempre una metafora per tanti tipi di azioni: gli scacchi, in fondo, sono una prova di intelligenza tattica su un piccolo campo di battaglia. I giochi di carte sono spesso basati su strategie e astuzie. Quelli da tavola prevedono alleanze, previsioni, una certa spregiudicatezza. E tutti, in generale, comportano un fattore decisivo, soprattutto in questi tempi in cui i social media, anziché connetterci, ci isolano sempre più nei nostri micromondi: la relazione. Si può giocare da soli, come ci accadeva ogni tanto da bambini: ma giocare con qualcuno è sempre più bello, proprio perché – come ricorda la sapienza popolare – giocando si impara.

Lo sanno bene i matematici e gli economisti, che per lavorare sui loro complicati sistemi si rifanno spesso a quella che è universalmente nota come “teoria dei giochi”: e nel corso dei decenni sono stati ben undici gli economisti legati a questi “giochi”, certo meno spensierati dei nostri, che sono stati insigniti del Premio Nobel. Proprio perché il gioco è simulazione, proiezione, scambio: necessità di regole ma anche di fantasia, altrimenti non ci si diverte. E il gioco diventa una chiave molto seria, ma non priva di una certa leggerezza, per costruirsi la propria via nel mondo del lavoro: lo sanno bene non solo gli artisti, che con la dimensione del ludico descrivono la realtà in termini ironici, ma anche i maestri d’arte, che hanno acquisito una tale competenza tecnica da poter ormai dimenticare la fatica della mano, e godersi la felicità del fare.

Il lavoro non è un gioco: è impegno, a volte è addirittura sacrificio, e soprattutto è un’attività che stimola la nostra intelligenza e valorizza la nostra umanità. Non siamo insetti, ma esseri umani: trasformiamo creativamente il mondo intorno a noi per rappresentarci in esso in maniera consapevole. Ma per i maestri artigiani, il lavoro ha sempre la stimolante energia del ludus: giocare non per perdere tempo o per ingannare la noia, ma per sperimentare un modo più felice di agire, di migliorare, di guadagnarsi la vita, di dare a questa vita la giusta leggerezza che permette di sostenerne la gravitas, la parte seria (e non noiosa) che pure ci è necessaria. Proprio questo mantiene giovane il loro cuore, elastica la loro mente, vivaci i loro occhi.

Il mondo anglofono ha un solo verbo per indicare sia l’azione del giocare, sia quella del suonare, sia quella del recitare: play. In spagnolo, suonare si dice tocar: e mi piace questa vicinanza al tatto, al fare con le mani. In italiano abbiamo parole preziose e diverse, ma che sintetizzano le altre due tradizioni linguistiche proprio con il concetto di gioco: un momento in cui si inventa, si apprende, si crea qualcosa di bello e memorabile, e si vince la noia che rende tutto banale. «Vuoi giocare con me?» chiedono i bambini. I maestri artigiani non hanno mai smesso di chiederlo: ai materiali, alle tecniche, alla storia, ai clienti. Sta a noi rispondere, per fare in modo che questo ludus magnifico del ben fatto all’italiana possa sempre trovare giocatori entusiasti e appassionati. Cosa si vince? Molto semplice: la bellezza. C’è mai stato premio più ambito?

Franco Cologni

Franco Cologni

Franco Cologni è presidente della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Laureato in Lettere e Filosofia presso l’Università Cattolica di Milano, imprenditore, giornalista e scrittore. Per quarant’anni ha collaborato presso Cartier fino a diventarne Presidente Mondo. Nel 2016, insieme a Johann Rupert, Chairman della Compagnie Financière Richemont SA, ha dato vita alla Michelangelo Foundation for Creativity and Crafstmanship. È inoltre fondatore e Presidente del Comitato Culturale della Fondation de la Haute Horlogerie di Ginevra e ha creato, a Milano, la Creative Academy, scuola internazionale di Design e Creative Management del Gruppo Richemont.

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