Il suono del talento

di Andrea Tomasi

fotografie di Dario Garofalo

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 25 Settembre - 2022

«Senta, senta come suona». Nicoletta Caraceni, figlia di Ferdinando, sarto di industriali e intelligencija milanese ultimo terzo di secolo, prende tra le mani due tagli di tessuto all’apparenza identici e li fa appunto suonare, piegandoli e poi tendendoli tra pollici e indici. «Questo ha un suono pieno, questo è vuoto. Fu una delle prime cose che papà mi insegnò: “Nicoletta, ricordati che i tessuti cantano, impara ad ascoltarli”. E così, ancora oggi, li faccio cantare per capire qual è quello giusto».

 

Nicoletta Caraceni continua la lunga tradizione artigianale della rinomata dinastia di sarti Caraceni che ha vestito diplomatici, dignitari e celebrità. Una missione portata avanti con tenacia da una donna determinata a tenere alto lo stendardo dell’eccellenza su misura.

 

Papà è una parola che si rincorre nel racconto di Nicoletta, perché la sua è una storia di amore filiale profondo. Questa donna volitiva che è riuscita a imporsi in un mondo maschile in cui nessuno, a eccezione del padre, sembrava credere in lei, non nasconde la devozione, l’ammirazione, la riconoscenza verso quell’uomo partito da Ortona ragazzino in cerca di fortuna. «Entrato in sartoria bambino, a 16 anni papà era già un sarto finito. Salì dunque a Milano, dove ad attenderlo c’era Domenico Caraceni, stesso cognome ma una vaga parentela. Caraceni era diventato il più grande dell’epoca inventandosi uno stile che univa la tradizione partenopea con la sartoria inglese, i cui segreti aveva appreso scucendo e rammendando gli abiti che il compositore ortonese Francesco Paolo Tosti, Maestro di canto alla corte della regina Vittoria, regalava ai parenti quando da Londra ritornava in Abruzzo». Ferdinando osserva e impara, ma nel 1943 deve partire per la guerra. Qui la storia assume i contorni del romanzo: dopo l’armistizio, i tedeschi lo fanno prigioniero e lo chiudono in un campo di prigionia da cui lui scappa offrendosi volontario per spegnere un incendio. Rinserrato per settimane in una cantina di Berlino, viene trovato dai russi, che anziché rispedirlo in Italia lo fanno salire su un treno in direzione est da cui lui riesce nuovamente a fuggire grazie a un compagno che si accorge dell’inganno guardando le stelle. «Fu in quell’occasione che papà capì l’importanza di una buona istruzione, un punto su cui ha sempre insistito con me e mia sorella».

 

 

 

E Nicoletta in effetti studia, laureandosi in Lingue e Letterature straniere alla Cattolica di Milano, dove inizia anche un percorso come assistente. Ma poi… «Poi l’atelier ha avuto la meglio. D’altra parte qui ci sono cresciuta. Il sabato e la domenica seguivo papà in sartoria anche se ogni volta speravo mi portasse alle giostre. Sono venuta su circondata dai tessuti e dal loro canto, guardando papà lavorare, assorbendo per osmosi, anche se all’inizio non consideravo affatto l’idea di intraprendere questo mestiere. Fino a una certa età non mi rendevo neppure conto di cosa stava costruendo mio padre, che per me faceva un lavoro come un altro. La mia percezione cambiò quando mi portò a Parigi per consegnare alcuni abiti a dei clienti. Facemmo il giro di case faraoniche, di fronte a me si presentarono nomi da leggenda: Hélène Rochas, Nicola Caracciolo, Yves Saint Laurent. A casa di quest’ultimo ci fecero accomodare in un salotto, alle pareti un ritratto di Andy Warhol, opere d’arte ovunque. Mi sentivo sopraffatta dalla bellezza, poi lo stilista entrò nella stanza e abbracciando papà gli disse: “Bonjour Maestro!”. Saint Laurent, il numero uno della moda, stava chiamando mio padre Maestro».

 

 

Se è troppo tardi per imparare a tagliare e cucire, Nicoletta fa suoi tutti i segreti della sala prova: le differenze di tono, peso e materiale dei tessuti, le diverse lavorazioni, l’arte fondamentale di capire il cliente e come servirlo, anticiparne i bisogni, guidarlo nella scelta di un capo destinato ad accompagnarlo negli anni, oltre ogni fugacità della moda.

Nel 2004, alla morte di Ferdinando, la figlia predestinata decide di andare avanti resistendo agli squali che le si stringono intorno. «La sartoria di papà faceva gola a molti, qualcuno mi disse apertamente che dovevo vendere, che non ce l’avrei mai fatta, che quello non era un mestiere da donne. Ma più mi provocavano, più la sfida mi sembrava innovativa, stimolante, femminista. Vent’anni dopo sono ancora qui, a portare avanti una tradizione nel nome di papà: i tessuti e le tecniche di lavorazione sono ancora quelli che usava lui, tutto qui è fatto a mano da noi, dalle trapuntature interne alle spalline. Non sa quante volte mi hanno chiesto di aprire un corner a New York, di aumentare la produzione, ma la mia risposta è sempre la stessa: no, grazie. Realizziamo un massimo di 350 vestiti l’anno, oltre questa cifra non sarei più in grado di garantire la qualità che ha fatto la fama di papà. “Devi lavorare per tenere alto il nome Caraceni, non sarà il nome Caraceni a lavorare per te”, mi ripeteva sempre».

 

 

Diventare più grandi, produrre di più, continua a spiegare Nicoletta, significherebbe non riuscire a seguire da vicino chi lavora in bottega, a guidarli e a stabilire con loro una giusta dimensione professionale e umana. «In sartoria ci sono al massimo dieci persone, tra cui alcuni giovani che dopo aver fatto con noi il tirocinio formativo finanziato da Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte ho deciso di assumere. A chi viene a lavorare qui spiego di avere pazienza, di non aver paura di sbagliare, perché questo è un mestiere che si apprende facendo e disfacendo. Una volta un cliente chiese a papà, già ottantenne, se non si fosse stancato di venire in bottega ogni giorno. Lui lo guardò e rispose: “Come posso stancarmi se c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare?”».

Andrea Tomasi

Andrea Tomasi

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di “Homo Faber”. Dal 2020 dirige la “Homo Faber” Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e in altri Paesi extra-europei.

CONDIVIDI