Massimo Spigaroli e famiglia

di Andrea Sinigaglia

La vicenda degli Spigaroli ci fa comprendere a fondo la granulometria dell’italianità. E lo fa attraverso la forma più alta di insegnamento, ovvero l’esempio, il vissuto. Poche parole, tanti fatti. Si chiama tessuto quell’intreccio di fibre che può assumere una resistenza e una tenuta impensabili. È di questo che parliamo quando guardiamo la storia di questo brano di “mondo piccolo” che da anni si dipana a Polesine Parmense sulle rive del grande fiume.

La storia si attarda volentieri là dove incontra persone inclini a prendersene cura, a preservarla per continuarne la narrazione. Sulle sponde del Po della Bassa Parmense, c’è uno di questi luoghi: l’Antica Corte Pallavicina è un borgo rinato che ospita oggi la miglior produzione al mondo del prezioso Culatello, un’azienda agricola con animali di antica razza autoctona e terreni trasformati in orti giardino. E un’arte culinaria che esalta le antiche tradizioni di queste terre bagnate dal grande fiume, grazie a un savoir-faire familiare molto speciale.

Un’eredità e un progetto. Serve altro per l’ordito di una grande storia? Sì. Serve affectus: quell’attaccamento, viscerale da un lato, pieno di visione dall’altro, che nessuna condizione può generare né costringere se non accolta in piena libertà. È incredibile quello che è sorto anzi ri-sorto a Polesine, nel cuore della Bassa, tra Parma e Piacenza. Massimo Spigaroli e la sua famiglia, partendo dalla ristorazione, hanno esondato grazie alla loro ospitalità e alla voglia di far conoscere a tutto il mondo i luoghi di Giuseppe Verdi e Giovannino Guareschi, ma anche dei loro genitori e compaesani. Una baracca sul Po, un ristorante, un grandissimo prodotto come il Culatello di Zibello e tutta l’arte norcina connessa, tanta nebbia d’inverno e tante, tantissime zanzare in estate, i campi, la gente, un’antica corte signorile, l’umanità che diventa accoglienza e persone da tutto il mondo che attratte, invitate o incuriosite finiscono col visitare questo luogo così eccezionalmente normale.

Massimo Spigaroli

Io, che scrivo questo articolo, onorato dell’incarico, mi ritengo osservatore privilegiato di questa storia. Ho avuto modo di conoscere Massimo Spigaroli quando avevo solo 16 anni: ero un giovane studente di scuola alberghiera e avendo vinto un concorso di cucina, il mio premio, insieme a un altro paio di compagni di classe fu una giornata insieme allo chef Spigaroli. Mi ricordo l’agitazione – mia – e la figura taciturna e decisa ma gentile nei modi e nei gesti del cuoco che avevamo di fronte. Massimo Spigaroli sembra sempre lì a pensare a qualcosa di successivo. È lì, di fronte a te, ma intanto lo vedi che fatica a vivere l’istante immanente, gli sta un po’ stretto, perché già rapito dal seguente. Sembra di sentirlo escogitare, rielaborare e riflettere all’unisono. Forse è per questo che i suoi sguardi sono così densi, non ne spreca nemmeno uno, nemmeno mezzo. Poi c’è la timidezza che spesso è dote dei grandi e non te l’aspetti mai in certe figure così compiute. Negli anni a venire ho avuto modo di visitare l’Antica Corte Pallavicina varie volte, veramente tante, e ogni volta che tornavo con intervalli di circa 3 settimane, massimo un mese, vedevo crescere il progetto. Un luogo recuperato, un campo trasformato in orto, artigiani del territorio ingaggiati per la ricostruzione con materiali autoctoni. È un godimento degli occhi e dell’anima seguire con lo sguardo il sorgere di un borgo. Vedere che da quella rinascita si riaccende tutto il contado, che le persone di quel luogo assistono meravigliate e si rivestono di una dignità nuova che ha già in sé il germe dell’orgoglio di appartenenza, perché lo racconteranno e si racconteranno. La famiglia Spigaroli è un caso paradigmatico di come, appunto, mettendo a fattor comune tutte le potenzialità di un territorio italiano specifico si possa evocarne lo spirito e quello diventa attrattiva per tutti: come ci ricorda lo storico Carlo Maria Cipolla, «fare all’ombra di un campanile cose che piacciono al mondo».

Massimo Spigaroli

In un’epoca come la nostra, assetata di luoghi veri e vividi, l’Antica Corte Pallavicina incarna una meta nella quale alla fine del viaggio il momento dell’arrivo coincide con un sentirsi a casa e questo manda in corto circuito. È un luogo di persone, di cibo buono e di vino frizzante. È un luogo fuori dai tracciati, apparentemente immobile ma posto accanto a un continuo fluire, quello del Po, che ne regola successi e paure, paesaggi e fisionomia, epoche. La vita pacifica degli animali ha il compito di trasmettere subito il ritmo naturale, lento e profondo, screziato solo da qualche verso di pavone: sono gli animali a dimostrarsi padroni della situazione, facendoti sentire ospite ma chiedendoti al contempo di rimanere guardingo. Tutto questo, coreografia, architettura, odori e perfino la paupula era già nella mente di chi ha composto il puzzle raccogliendo a mano le tessere che si squadernavano e le ha messe a nuova vita.

Maestro d’Arte e Mestiere, Massimo Spigaroli, direbbero i giapponesi, è un “tesoro vivente”, un patrimonio umano: ma essendo uomo della “Bassa” come direbbe Guareschi ci si accontenta di essere uomini normali che fanno cose normali: e oggi tutto ciò è straordinario.

Andrea Sinigaglia

Andrea Sinigaglia

Laureato in Lettere alla Cattolica di Milano, ha conseguito un Master in Cultura dell’Alimentazione a Bologna e un MBA presso il MIP. Ha pubblicato: La cucina Piacentina (Tarka, 2016), Gusto Italiano (Plan, 2012) e Il vignaiolo. Mestiere d’arte (Il Saggiatore, 2006). Dal 2004 insegna Storia della Cucina italiana presso ALMA, dove, dal 2013, è direttore generale

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