Che Doppia Firma si sia fatto metodo e, in Italia e all’estero, faccia scuola, è ormai un dato di fatto: lo dicono i numeri delle edizioni realizzate (9) e delle coppie di artigiani e progettisti coinvolti (63), lo dice la qualità degli affondi nelle tecniche interpretate e messe in scena, ma anche dei materiali esplorati e dei territori raccontati. L’evento nato nel 2016 da un’intuizione di Alberto Cavalli, direttore generale di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, ha saputo mantenere il focus dell’attenzione sulla sperimentazione contribuendo in concreto a restituire dell’artigianato una narrazione più rotonda e attenta alle urgenze del contemporaneo: quella restituita al grande pubblico è il racconto di un nuovo Umanesimo profondamente ancorato ai valori della tradizione, del dialogo, del rispetto.
Giunto alla sua nona edizione, Doppia Firma si conferma come un laboratorio di eccellenza per il dialogo tra artigianato e design attraverso collaborazioni straordinarie tra maestri artigiani e designer di talento. È la storia di un evento di successo che continua a fare scuola. E che ci ha insegnato a osare.
Francesca Taroni, direttore di Living Corriere della Sera, media partner di Doppia Firma sin dalla prima edizione, non nasconde una certa soddisfazione nel ripercorrere le tappe di un viaggio lungo quasi dieci anni: «Abbiamo intercettato una necessità che si è fatta tendenza, ovvero quella di proiettare il savoir-faire nella contemporaneità. Promuovere un tema del progetto intimamente legato alla qualità artigianale, ha contribuito a dare slancio a festival italiani e internazionali inaugurati negli anni successivi», tra i quali il Lake Como Design Festival e Edit Napoli, entrambi fondati nel 2019. Quest’anno a Villa Mozart, il concept si apre alla storicizzazione, affiancando ai nuovi progetti una selezione di sette pezzi realizzati nelle passate edizioni: una sorta di “best of” dell’hand made.
Tra le new entry, lo studio Cara\Davide in dialogo con Roberto Lucchinetti e Andrea Mancuso con Luciano Tousco: «Lavorare con gli artigiani è il nostro modo di avvicinare la materia, di sviscerarla nelle sue potenzialità», raccontano Cara Judd e Davide Gramatica alla loro prima esperienza con la pietra ollare. «Siamo stati a bottega, un posto pazzesco in riva al fiume, nel cuore della Val Chiavenna: insieme a Roberto abbiamo avvicinato una tecnica, particolarissima e antica quanto la “roccia tenera”, usata per ridurre al minimo lo spreco». Fare di più con meno è la loro cifra autoriale, che ben si sposa con le tradizioni della valle. «Con Luciano, un montanaro vero, abbiamo lavorato sul tema dell’innesto che si fa pattern», dice Andrea Mancuso, che della Valle d’Aosta ormai conosce ogni digressione decorativa. «Il nostro è un ritorno alla decorazione alpina: la seduta alla quale abbiamo lavorato mantiene la linea sinuosa della lounge per aprirsi all’innesto di rami veri». Il retro della scocca si fa radura per restituire l’immagine di un paesaggio di montagna scolpito a mano. Ode alla forza del legno massello, quindi, ma anche alla sua fragilità di materiale in transizione. Come l’ambiente nel quale viviamo.
«Quello inventato dalla Fondazione Cologni è un progetto culturale che grazie al talento di designer ben selezionati, riscatta l’artigianato dalla dimensione del fare, per restituirgli nobiltà di pensiero», puntualizza Francesca Taroni. «Complice una certa attitudine delle aziende, sempre più concentrate sul tema del contract, e meno sulla sperimentazione, che ha suggerito ai progettisti di avvicinarsi con maggiore convinzione all’autoproduzione».
Fanno eccezione Barnaba Fornasetti e Giovanni Bonotto, mecenati e imprenditori alla guida di due eccellenze manifatturiere italiane: la prima, fondata nel 1940 a Milano da Piero Fornasetti, la seconda nel 1912 a Molvena da Luigi Bonotto, entrambe esempi-manifesto di Fabbrica Lenta. Per Barnaba, uomo colto e discreto, la lentezza «è parte naturale della nostra essenza artigianale, della nostra filosofia: fare le cose con il giusto tempo ci consente di riflettere sul senso del progetto e, come amo dire, di riuscire a pensare con le mani». Slow design è un concetto buono e bello, ma è davvero credibile quando ruota attorno all’uomo con i suoi tempi intellettivi e manuali. «Quando ho incontrato Giovanni Bonotto», ci svela Fornasetti a proposito della collaborazione nata con Doppia Firma per la realizzazione di Un filo di follia pratica, «c’è stata immediatamente sintonia. Per entrambi il rispetto della tradizione e l’ossessione per il dettaglio sono valori fondamentali. In particolare, ho apprezzato molto ciò che lui ha detto in un’intervista: “Mi vanto di lavorare in una fabbrica dotata delle lenti della fantasia”. Ecco, questo per me, è il vero filo che ci unisce: l’accesso alla fantasia pura, seppur con basi formative rigorose».
Un pensiero crossing che legittima il craft al cambio di scala, consentendogli di contaminare anche la dimensione dell’interior decoration. «L’emozione che ti restituisce una casa, un interno, è sempre più legata al materiale, alle finiture, ai rivestimenti, alla tattilità delle superfici. Mi piacciono le scenografie allestite da Giacomo Moor e Pietro Russo», chiude Francesca Taroni, «perché sono una sorta di archi-decorazione, in cui superfici, rivestimenti, vetri, esplodono una tridimensionalità che riscalda l’atmosfera».
Vento, il paravento realizzato nel 2022 da Hannes Peer con Del Savio 1920, e tra quelli in mostra alla Milano Design Week, è pensato e realizzato come un elemento architettonico mobile: «Nei miei interni, l’artigianato è parte integrante dello spazio.
Le piastrelle dipinte a mano, i lampadari soffiati a bocca, i mobili intarsiati, non sono dettagli puramente decorativi, ma dispositivi di narrazione che connettono arte e funzione», e punteggiano una dimensione talmente ricca matericamente e talmente coinvolgente emotivamente da risuonare. «Il craft è l’anima dei miei progetti, per noi interior designer è l’opportunità che restituisce autenticità e profondità agli ambienti per renderli vivi». In un gioco sapientemente condotto che, come ama sottolineare Barnaba Fornasetti, «combina funzione e creatività, quotidiano e meraviglia e che rasenta la follia».
Osare è dunque il comandamento dell’artigianato d’autore, quello che, come ci insegna Alberto Cavalli, non replica. Inventa.