«Possiedo alcune azioni del Banco delle Primule / Titoli profumati / una Dote di Asfodeli,» scriveva la poetessa Emily Dickinson, ritenendo assai pregevole il suo tesoro di sogno e poesia. Un simile elenco di ricchezze evanescenti, pur se preziosissime, può ricordare il valore generato dai mestieri d’arte: giacimenti culturali vasti come l’oceano; tesori inestimabili di talento; tradizioni e mestieri antichi di secoli che la tecnologia contemporanea non solo non ha cancellato, ma che ha anzi saputo rivitalizzare. Questi giacimenti esistono in tutto il mondo: costituiscono una saggezza popolare che nasce e si sviluppa in un determinato territorio, esso stesso valore fondamentale da proteggere e da riscoprire.
Le tradizioni millenarie, radicate nel territorio e nella cultura, rappresentano un patrimonio inestimabile di sapere e creatività che arricchiscono l’identità di un gruppo; vengono rivitalizzati dalla tecnologia contemporanea e offrono una saggezza che si tramanda attraverso oggetti, parole e gesti dal valore simbolico e universale. L’importanza di creare reti e connessioni umane emerge come una necessità per valorizzare e preservare tali arti.
Perché dal territorio nascono i saperi che da sempre rappresentano l’identità di un gruppo, e che hanno la loro radice proprio in quel sapere latino che significa “avere sapore” ed “essere savio”. Un sapore che arricchisce e preserva; una saggezza che ha un “sapore” perché è umana, personale, tramandata non solo con le “cose” ma anche con le parole e i gesti.
Ed ecco la prima valenza che deriva del considerare il territorio come una ricchezza: la scoperta che mettere in circolo la cultura, come i grandi Maestri d’arte del Rinascimento, non solo non depaupera nessuno ma anzi crea circoli virtuosi di sapienze che fertilizzano ogni campo.
Circoli virtuosi da organizzare in una rete, per sviluppare connessioni ancora embrionali.
L’eredità di questo crogiolo culturale è viva e presente nei troppo dimenticati artigiani-artisti, che all’intelligenza della mano uniscono la passione del cuore e la creatività della mente e che pur in mezzo a mille difficoltà (non ultime quelle di ordine burocratico) rappresentano l’eccellenza del loro territorio.
Come la terza edizione di Homo Faber, dedicata al “Viaggio della vita”, ha dimostrato, creare una rete significa entrare in connessione. Significa scoprire valori federativi anche dove meno ci si aspetta di trovarli: e valorizzare il talento umano in ogni momento significativo della nostra vita, quale che sia la nostra educazione, quali che siano i nostri sogni, quale che sia il nostro destino.
Oggi abbiamo una rete; abbiamo infinite possibilità di scoprire e di esplorare, ma dobbiamo ancora entrare veramente in connessione. Una connessione umana, che varca i confini e che si esprime attraverso il linguaggio del saper fare: e perché la connessione sia valida, occorre ovviamente avere qualcosa da esprimere e da trasmettere. In una parola, occorre sapere.
Sapere che il viaggio della vita è un viaggio intorno ai nostri sogni, e ai momenti più importanti che scandiscono il nostro tempo: e che vanno celebrati (e che, anzi, di fatto sono celebrati) attraverso oggetti non banali ma significativi, il cui valore trascende ogni appartenenza territoriale per diventare il segno di un modo diverso di vivere, di acquistare, di custodire, di tramandare.
Homo Faber ci racconta di come costruire connessioni salde e reali con noi stessi e con il nostro tempo, lavorando sulla bellezza, sulla ricchezza e sull’arte dei territori. Tutti i territori, tutte le arti, tutti i mestieri. Ovvero: tutte le ricchezze.