Tra i tanti oggetti che caratterizzano la nostra società dei consumi, ognuno di noi ha individuato i propri. Sono oggetti che ci appartengono e che rappresentano il nostro vissuto. Sono, quindi, oggetti ai quali nel tempo abbiamo attribuito dei “significati”. Significati intesi come valori affettivi, capaci di evocare parte delle nostre esperienze di vita. Quasi sempre sono oggetti in grado di raccontare l’esistenza di una persona: basterebbe pensare alle abitazioni di grandi artisti e intellettuali (Giuseppe Verdi, Giacomo Leopardi, Gabriele D’Annunzio…) “congelate” come musei dopo la loro morte, ma anche alle tante case-laboratori di anonimi artigiani o di artisti più o meno noti. È l’insieme degli oggetti che parla della loro vita, sono le tante cose di cui si sono circondati, e che anche ognuno di noi accumula nel proprio spazio abitativo, a dimostrare come la nostra vita possa essere raccontata, di fatto, dagli oggetti che scegliamo come “souvenir” del nostro percorso esistenziale.
Alcuni oggetti diventano veri e propri “souvenir” del nostro percorso esistenziale. Non sono solo beni materiali quindi, ma simboli carichi di significati affettivi. Oggetti che evocano esperienze, persone e momenti cruciali, mantenendo vivo il dialogo con il passato e stimolando i nostri sogni e pensieri più profondi.
Dai primi oggetti della nostra infanzia, a cui rimaniamo legati per tutta la vita (un giocattolo, un pupazzo…), a ciò che è stato conservato dai nostri genitori per ricordare quel meraviglioso momento in cui eravamo piccoli, indifesi e desiderosi di amore e attenzione, come ad esempio una scatolina con i riccioli dei capelli che avevamo sulla nostra “testolina”! E così proseguendo nel corso del tempo, con tutti gli oggetti che raccontano la nostra esistenza, dagli amori ai viaggi. Oggetti della memoria: nella mostra organizzata per la Biennale di Venezia del 1980 con il semiologo Gianfranco Bettetini (“Il tempo e le memoria nella società contemporanea”), realizzai una grande struttura, una sorta di grande magazzino, con centinaia di scatoloni sovrapposti che riportavano all’esterno un’etichetta per identificarne il contenuto (amori, amici, viaggi…). Una rappresentazione tridimensionale della nostra vita attraverso gli oggetti accumulati, quasi sempre lontani dalla definizione contemporanea di “oggetti di design”, che spesso vengono scelti più per il loro significato che per la qualità della fattura.
Oggetti di semplice artigianato raccolti nei mercati regionali per ricordare un viaggio, una particolare estate, un amore che ha segnato la nostra vita. Oggetti che sono stati recuperati da un vissuto dei nostri artigiani che ci danno il senso della continuità della vita e che vorremmo fossero apprezzati anche dai nostri figli. Opere che ci aiutano a non dimenticare, e che spesso sono legate a un territorio. Oggetti che esprimono il genius loci di una realtà che abbiamo attraversato e che ci raccontano le capacità artistico-artigianali di una comunità che è riuscita nel tempo a mantenere viva, rinnovandola, la propria tradizione legata alla cultura del fare. Spesso sono oggetti che nascono senza nessun valore né fattuale né di significato, e che solo noi, legandoli alla nostra vita, siamo capaci di caricare di valori e che quindi ci aiutano a mantenere un dialogo con persone, luoghi, cose, ma anche a stimolare i nostri pensieri e i nostri sogni più segreti e personali. Oggetti-feticci, ma anche oggetti-simbolo di una visione della vita e di credenze che vanno oltre la dimensione terrena.
Proprio come nell’antica Roma all’ingresso della casa venivano collocati i simboli dei cari estinti (i Penati), così ancora oggi tutti noi abbiamo oggetti che ci ricordano, in qualche modo, persone a cui siamo rimasti affezionati ma senza necessariamente rappresentarle con un’immagine (bi- o tridimensionale). Ogni mattina mi alzo e faccio colazione con una scodella bianca con decori azzurri, che è la stessa tazza che usava mia nonna per bere il latte e che ha usato per tanti anni anche mia mamma.