Quando si pensa agli oggetti e all’amore vengono in mente i “pegni d’amore”. Più feticci che semplici cose d’uso pratico, essi si caricano del valore del sentimento che lega mittente e ricevente, chi regala e chi riceve. In antropologia si studia come i riti di passaggio legati all’unione spesso si accompagnano con lo scambio di oggetti, tanto che Marcel Mauss proprio a questa pratica dedicò uno dei suoi scritti fondamentali, il Saggio sul dono.
Tra ago e filo si creano storie, si tramandano legami, si esprime l’amore. Ogni punto ricamato è un gesto di cura, un pegno d’affetto che attraversa generazioni e culture. Ma quando il filo diventa voce, anche il più piccolo gesto può trasformarsi in una rivoluzione.
In molte culture l’atto di fidanzamento passa attraverso il donare un gioiello, molto spesso un anello, ma non solo. Infatti, nelle culture arcaiche e rurali è altrettanto frequente l’uso da parte del fidanzato di regalare alla promessa sposa fusi e aghi, ovvero gli strumenti di cucito e ricamo che preludono alla creazione del corredo, dote economica, ma anche simbolica, nonché iniziazione a una delle arti manuali in cui per secoli si è identificato il fare femminile. Il corredo riguarda non solo la produzione di un bene che accompagna l’atto nuziale, ma anche la gestione di un tempo e di una cura che spesso vengono identificati con il valore artigianale. I piccoli punti, il ricamo più o meno prezioso, sono un lavoro collegiale, dove un’intera famiglia, nel suo ramo femminile, è impegnata per mesi e anni al fine di tradurre in un bene materiale la condivisione, l’abilità, ma anche il tempo espanso di un fare. I fili, che servono materialmente a crearlo, sono anche quelli delle storie di vita che si accompagnano alle ore della lavorazione. Tanto che textere è radice comune sia per il tessuto che per il testo.
Il corredo è un bel simbolo di quanto ancora oggi si associa al concetto di alto artigianato: il valore è nelle abilità di chi lo esercita e nel tempo che vi dedica. Ma questa sarebbe una visione solo nostalgica e limitata. La storia del cucito e del ricamo è costellata di casi in cui, dietro alla grande massa delle ripetizioni pedisseque di punti e ricami, si celano atti di cura, guarigione, denuncia, rivendicazione, rivoluzione. La tecnica, liberata dalla monotonia, può rivelare storie più complesse della sola costruzione di una dote economica, che fa da sostegno a una vita femminile nel momento in cui passa dalla giurisdizione paterna a quella maritale.
Lungo il solco tracciato dai fili c’è l’amore delle madri per le loro figlie e per i loro figli. Non a caso, la rivolta delle “Madres de Plaza de Mayo” venne fatta attraverso ago e filo: alla metà degli anni Settanta ogni giovedì le madri dei desaparecidos della rivoluzione argentina si presentarono con un fazzoletto annodato in testa sul quale avevano ricamato il nome e la data dei loro figli che il dittatore Jorge Rafael Videla e il suo governo dicevano non esistere, non essere mai nati. Ragazzi inesistenti per il regime, ma immortalati nel ricamo delle loro madri che sfidavano le autorità armate di un fazzoletto, come il più alto pegno d’amore. La tecnica e lo strumento che le voleva mute e accondiscendenti divennero la loro voce.