Specchio, specchio delle mie brame

di Jean Blanchaert

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 28 aprile - 2024

Si potrebbe pensare che gli specchi siano strumenti al servizio della nostra immodestia. Non è però così, perché lo specchio, non soltanto riflette l’immagine della persona che gli passa davanti, ma ha in sé lo spirito di chi l’ha fatto. Lo spirito Barbini è composto da più strati: c’è la patina semplice e antica di settecento anni oro sono, ci sono le tecniche di ieri, oggi e domani e, a volte, c’è anche una superficie vitrea, levigata e sfarzosa, che fa entrare chi guarda nel mito di Narciso. In questo madrigale di Torquato Tasso (1544-1595), lo specchio non restituisce alla donna la sua immagine, ma l’effigie del mondo, intrisa dalla luce che lei emana:
Donna, il bel vetro tondo che ti mostra le perle e gli ostri e gli ori, in cui tu di te stessa t’innamori, è l’effigie del mondo, ché quanto in lui riluce raggio ed imago è sol de la tua luce.

L’eredità di una passione continua a vivere in un mestiere speciale. A Murano, la famiglia Barbini riflette l’anima dei propri antenati rinnovando la tradizione e realizzando raffinati specchi veneziani con tecniche cinquecentesche.

Montaggio di uno specchio presso il laboratorio creativo AAV Barbini. foto di Francesco Allegretto

 

In fondo, gli specchi Barbini sono degli psicanalisti: tirano fuori l’anima di ognuno. Vincenzo e Giovanni, eredi del fondatore Nicolò, hanno trasmesso ai loro figli Marco, Nicola, Giovanna, Andrea, Pietro e Filippo, il desiderio di continuare il lavoro di famiglia nella bottega-laboratorio di Murano. Oggi si parla spesso di heritage, di retaggio culturale. I Barbini ne sono un esempio eclatante. Il laboratorio fa parte del loro DNA, è la loro casa, è la loro famiglia e questo, prima di essere un lavoro, è passione. Vanno in bottega animati non soltanto dal desiderio di non perdere un sapere tramandato da generazioni, ma anche dalla curiosità di vivere in prima persona, da protagonisti, tutti i cambiamenti che l’arte e il design propongono oggi, nel terzo millennio. I sei fratelli e cugini provengono da percorsi e studi diversi; tutti diplomati, qualcuno ha frequentato l’Accademia di Belle Arti, qualcuno si è laureato in filosofia e qualcun altro era idraulico.
 

I fratelli Vincenzo e Giovanni Barbini, Maestri d’Arte e Mestiere, titolari dell’atelier di famiglia. foto di Francesco Allegretto. 

Murano, come certe antichissime culture legate a un filo che dovrebbe spezzarsi da un momento all’altro, in realtà resiste. Un esempio recente è stato quello del grande aumento della bolletta del gas. Dopo aver chiuso temporaneamente per alcuni mesi, le fornaci hanno riaperto grazie al supporto finanziario della Regione Veneto che ha capito cosa sarebbero state Venezia e l’Italia senza vetro. Quando, nel settembre del 2019, si aggiudicarono il Premio Bonhams, alla terza edizione della The Venice Glass Week, i Barbini si presentarono a ritirare l’attestato sul palco della grande sala di Palazzo Loredan, in otto persone, suscitando nel pubblico presente grande ammirazione e un fragoroso applauso.

La loro attività si muove fra tradizione e innovazione. Ecco, quindi, che possiamo trovare tecniche cinquecentesche in opere dalla forma assolutamente nuova e contemporanea. Alla Barbini, tutti i giorni si sperimenta, si cerca di andare al di là del muro del suono, rischiando anche rotture perché gli esperimenti non riescono mai al primo colpo. I Barbini si occupano di tutte le fasi della lavorazione dello specchio, dalla progettazione al taglio, dalla molatura all’incisione, dall’argentatura al montaggio.

Goldoni, collezione Laguna: trumò in stile settecentesco che fa parte della produzione dei fratelli Barbini da sempre. Il mobile è interamente ricoperto da ritagli di specchio, leggermente antichizzato, bisellato e inciso. Anche l'interno è a specchio e le mensole in cristallo. Foto di Studio Pointer.

 

Collaborare con la Barbini Specchi significa anche entrare nella loro grande famiglia. Con questo spirito, da diversi anni, hanno aperto le porte del loro laboratorio, offrendo la loro manualità ed esperienza ad artisti e designer di tutto il mondo, da Philippe Starck a India Mahdavi, da Martino Gamper a Bethan Laura Wood, da Victoria Wilmotte a Rio Kobayashi, da Omri Revesz a Quentin Vuong, da Chris Wolston a Lucia Massari, da Sara Forte a Serena Confalonieri. La più recente delle illustri collaborazioni è quella con Barnaba Fornasetti che ha saputo immaginare, tradotte in vetro a specchio inciso, alcune delle creazioni di suo padre Piero Fornasetti. In passato, durante il Rinascimento, “bottega” era lo studio di artisti e artigiani affermati, che lavoravano assistiti da aiuti e discepoli, parenti e non. Si andava “a bottega” per imparare.

specchio disegnato dal capostipite Nicolò Barbini, rivisitato in occasione di “Homo Faber 2022”. Le incisioni, realizzate a mano con ruota in pietra arenaria e i colori degli elementi vitrei tipici degli specchi veneziani, rappresentano il ciliegio, simbolo importante nella cultura giapponese. Foto di Simone Padovani per Michelangelo Foundation.

 

Negli anni Cinquanta del secolo scorso, Murano aveva ancora quattromila maestranze attive nel campo vetrario. Oggi sono quattrocento. Nella seconda metà del ventesimo secolo, i genitori muranesi cominciarono a incoraggiare i figli affinché intraprendessero una strada diversa da quella tradizionale: non più vetreria, ma un impiego sicuro, non ad alta usura e al riparo da rischi finanziari. Passate molte decadi, sono stati premiati “i rimasti”, quei figli che hanno creduto a oltranza nella tradizione e non hanno ascoltato il richiamo delle sirene impiegatizie e aziendali. Alcuni di loro, i grandi maestri vetrai d’oggi, sono proprio quei figli che non erano stati considerati idonei a fare il gran salto professionale fuori dall’isola. Oggi i migliori fra loro sono chiamati in tutto il mondo per mostrare la millenaria tecnica muranese a esterrefatti giovani studenti, colleghi e spettatori.

Specchio ottagonale Beroviero, collezione Amurianas. Cornice in rilievo, realizzata con lastre in vetro di Murano colorato, bisellato ed argentato. Foto di Francesco Allegretto.

 

Mettere piede nell’atelier-bottega Barbini Specchi non è soltanto un’esperienza visiva unica nel suo genere, ma anche un’esperienza puramente sensoriale. Chiudendo gli occhi, si sentono i clangori degli strumenti, l’odore del vetro, il profumo dell’argento e si ode un grande silenzio che tutto ovatta in favore della concentrazione. Otto persone si muovono con movimenti sincronici accompagnati da pochissime parole pronunciate in veneziano con cadenza muranese. I telefonini sono spenti, gli unici suoni sono quelli dei gesti. Proprio come nel Medioevo.

 

Specchio realizzato per l'azienda veneta Portego, su design di Nikolai Kotlarczyk.

 

Questo desiderio di laboriosa pace arcaica si sta fortunatamente diffondendo in tante parti d’Italia. Un altro esempio di bottega rinascimentale contemporanea è quella della Fucina di Efesto, a Milano, dello scultore e maestro d’arte Alessandro Rametta. Anche qui, abilità manuale, estetiche filosofiche, design, architettura e arte si mescolano quotidianamente, forgiando idee in ferro, come se fossero pensieri. Fucina di Efesto e Barbini Specchi non si conoscono, ma è come se fossero fratelli. Anzi, sorelle.

 

  Console, collezione Laguna, composta da ritagli in vetro a specchio sagomato, bisellato ed inciso. Foto di Francesco Allegretto

Specchio Nirvana Elegance, motivo floreale, dettaglio con foglia d'oro graffita e argentato con una speciale tecnica. Foto di Francesco Allegretto

 

Specchio Nirvana Elegance, realizzato per la mostra “Materia Eterea” (The Venice Glass Week 2019). Cornice composta da ritagli di vetro sagomato, bombato e bisellato, successivamente inciso con ruota in diamante e pietra e con foglia d'oro graffita. Foto di Francesco Allegretto

Jean Blanchaert

Jean Blanchaert

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata i n materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di “Homo Faber”, alla Fondazione Cini, a Venezia.

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