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Elogio del gesto

Testo di Stefano Follesa

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 27 settembre - 2023

Tra i termini inafferrabili della contemporaneità si colloca il concetto di virtuoso, la cui definizione impone un adattamento ai mutati scenari. Virtuoso è colui che eccelle in un’arte, “capace di usare con assoluta padronanza i mezzi tecnici connessi con l’esercizio di quell’arte” (Treccani). Il termine “mezzi tecnici” (leggibile in una accezione che va dalle macchine alle tecniche) sembra lasciar spazio, in una lettura contemporanea, ad un equilibrio negoziato tra pratiche manuali e tecniche digitali, ma tale definizione non chiarisce appieno il ruolo della mente.

La prefigurazione degli scenari che seguiranno gli sviluppi dell’intelligenza artificiale delineano una contrapposizione tra un mondo dominato dalle macchine e un mondo riconquistato dall’uomo. All’egemonia tecnologica si contrapporrà una riconquista dei gesti e dei rituali del fare. In tale scenario si colloca una nuova idea di virtuosismo come esaltazione di un fare ragionato tra pensiero e gesto.

La virtù sta nelle mani o nel pensiero? Nello sviluppo di un gesto o nell’applicazione di un’idea? È virtuoso colui che esegue con maestria l’opera o virtuoso è colui che concepisce l’opera? Riferendoci all’ambito musicale probabilmente potremo dire che la virtù sta nell’esecuzione e quindi è virtuoso colui che esegue in maniera eccellente una sonata di Paganini e non chi quel brano lo ha ideato (anche se nel caso di Paganini “violinista del diavolo”, questi era anche uno straordinario esecutore). Il concetto di virtuosismo nella musica è legato alla nascita del concerto, cioè a una idea dell’esecuzione come attività distinta dall’ideazione. È pur vero, tuttavia, che l’esecuzione è guidata dalla mente e quindi la reale differenza sta forse nello scarto tra mera esecuzione e interpretazione. L’interpretazione implica un fare guidato dal pensare, un apporto alla realizzazione mosso dalla mente e dal cuore. Per Juhani Pallasmaa (La mano che pensa, 2014) la mano non è un semplice strumento, ma il luogo privilegiato in cui il pensiero si incarna, «l’intenzione, la percezione e il lavoro della mano non esistono separatamente”.

Ma tale interazione per aspirare alla virtù necessita di svilupparsi nella ripetizione del gesto. L’autore parla della necessità di “fermare il tempo e difendere la naturale lentezza e diversità dell’esperienza». L’esperienza accompagna quindi la virtù dando stabilità al talento; è l’esperienza (fatta di continue innovazioni e sperimentazioni) che, nella dimensione del tempo, guida la transizione verso l’eccellenza. E tuttavia vi è un’ulteriore componente che necessita di essere rilevata. Quando si osserva il bassorilievo della Madonna della Scala che Michelangelo realizzò all’età di quindici anni nel Giardino di San Marco, ci si chiede se la virtù sia una dote innata o quanto, nello sviluppo di un’arte, sia dovuto ad una naturale predisposizione. Il virtuoso, in tutte le arti, si presenza come eccezione e non come regola e si definisce in una capacità di interpretazione che lega talento, manualità ed esperienza.

Parlare di virtuosismo acquisisce un maggior ruolo se sappiamo cogliere le trasformazioni di senso del termine legate alla dimensione del domani. Come si definisce una nuova figura di virtuoso nell’ambito delle discipline del fare? Gli scenari in premessa sembrano voler restituire significato e ruolo al termine. Si avvicinano tempi di riscoperta, non solo del fare, ma del valore del fare. L’artigianato sarà sempre più il grande laboratorio di sperimentazione al cui interno si definiscono le maggiori innovazioni, sia in termini di sviluppo di nuove figure di connessione tra progettare e fare, sia in termini di innovazione continua di processi e linguaggi. Il nuovo virtuosismo saprà unire una cultura estetica che trova ispirazione nel patrimonio, con una capacità del fare che appartiene al DNA dei nostri artigiani. Il tema, ancora una volta, è quello di un confronto tra storia e futuro, un dialogo virtuoso tra un passato che ha saputo costruire un lessico di elementi in cui la comunità si è riconosciuta e un futuro che da tali elementi può ripartire per accompagnare una nuova idea di virtuoso nella connessione tra pensare e fare.

Stefano Follesa

Stefano Follesa

Ricercatore e docente presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. La sua ricerca indaga i rapporti tra Design e Artigianato e tra Design e Identità locali. Ambasciatore per il Design Italiano nel Mondo, insegna in università internazionali ed è autore di numerose monografie.

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