Vi sono parole che trasformano profondamente il senso di una frase: non tanto per il loro significato letterale, intrinseco, quanto più che altro per la forte carica simbolica o emotiva che esprimono. Una carica che può però variare: positiva se riferita al sostantivo, neutra se legata all’aggettivo.
Il prezioso patrimonio di storia ed esperienza delle manifatture è frutto del fertile rapporto mano-macchina. L’Italia intera è costellata di “manifatture del bello”, dove il lavoro sapiente degli artigiani scandisce i tempi meccanici della produzione.
È questo il caso della parola manifattura e dell’aggettivo corrispondente, manifatturiero. Questo aggettivo lo sentiamo spesso durante i notiziari televisivi, ogni volta che viene presentato un rapporto sull’andamento della produzione nel nostro Paese: tutto quanto esce dall’industria di trasformazione viene genericamente fatto afferire al settore detto appunto “manifatturiero”, e le immagini mostrano immagini di fabbriche, operai, trasportatori. Una qualifica che quindi non ci dice nulla sul livello della produzione, sulla genesi creativa di ciò che viene fabbricato o sull’impatto che questo settore genera sui nostri territori. Un aggettivo dunque interessante ma freddo, che sembra quasi far parte di quella anti-lingua astratta e burocratica di cui parlava Italo Calvino.
Diverso è il caso del sostantivo, “manifattura”. Nella nostra percezione una manifattura non è una fabbrica, non è un’industria, non è un atelier e non è una bottega. È un termine che sentiamo come profondamente italiano, e che immediatamente evoca un’idea di umanità, di calore, di competenza, di eccellenza: e l’idea del “fatto a mano”, con cura e creatività, si associa in maniera generativa e positiva anche a termini apparentemente distanti. Come le “manifatture teatrali” che abbiamo a Milano, o le “manifatture del bello” che in tutta Italia portano avanti la preziosa eredità rinascimentale di quelle realtà produttive che comprendono al loro interno tutti i passaggi della realizzazione, associando al lavoro manuale dei migliori Maestri artigiani anche l’uso di macchine e strumenti sofisticati.
Questo numero di Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture ha cercato di dare una rappresentazione articolata e suggestiva di che cosa si intenda oggi per manifattura, con uno sguardo affettuoso alla tradizione: se è indubbio che dai tempi di Colbert queste realtà produttive si sono evolute, è altrettanto palese che il gesto manuale rimane al centro del processo, e che la dimensione meccanica rimane comunque nelle mani degli artigiani che ne padroneggiano ogni fase. La persistenza di queste realtà, di queste “alte manifatture”, deve molto all’eccezionale maestria tecnica degli artigiani; ma non va dimenticato il costante rinnovamento delle produzioni, spesso raggiunto grazie alla collaborazione con artisti e designer che hanno permesso di proporre nuove idee, nuovi soggetti, nuovi stampi, che gli artigiani poi interpretano perfettamente.
Forse anacronistiche rispetto al produttivismo “fordista”, le manifatture restano tuttavia risolutamente contemporanee nel loro modo di produzione, ponendo al centro del loro approccio la qualità della lavorazione, i lunghi tempi di lavoro, la tracciabilità e la dimensione del patrimonio, in un tempo in cui i clienti sono ora più che mai alla ricerca di significato e autenticità. E di bellezza.