Il diavolo veste d’arte e di design

di Claudio Castellacci

La prima volta che l’ho incontrato (al giro di boa del millennio), Franco Cologni era vestito da diavolo. Sì, avete capito bene, da Mefistofele con tanto di cappa, coda, corna, e sembrava divertirsi un mondo. Era sul set fotografico di Maurizio Galimberti per un ritratto che avrebbe illustrato l’editoriale del magazine internazionale Cartier Art (n. 7, “Rouge”, 2003), di cui Cologni era fondatore, editore e direttore.

«Il rosso è il colore Cartier», chiosò. Una pausa. «E del diavolo». Il parallelo non faceva una piega, anche se tutto ti aspetti, meno che il presidente esecutivo dell’intero settore gioielleria e orologeria del colosso controllato dalla Societé Financière Richemont – stiamo parlando di Cartier, Van Cleef & Arpels, Vacheron Constantin, Piaget, Baume & Mercier, IWC, A. Lange & Söhne, Jaeger-LeCoultre, Officine Panerai, e altre Maison – ti riceva, per un’intervista, en tant que Méphisto.

Nella sua rinnovata veste editoriale, il magazine festeggia i 25 anni della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, per continuare con intraprendenza e spirito di iniziativa la via segnata dal suo fondatore. Con visione e determinatezza, Franco Cologni si è nel tempo prodigato nel sostenere e promuovere la tradizione dei maestri del fare, coloro nelle cui mani è custodita la sapienza dell’artigianato d’eccellenza.

Ma, come scoprirò col tempo, il motto Serio Ludere, il giocare che ci fa pensare seriamente, gli si attaglia alla perfezione. Franco Cologni è, fra l’altro, un signore che i francesi hanno insignito delle loro più alte onorificenze, e che tra i suoi trascorsi – che vanno dall’attività accademica, teatrale, editoriale e pubblicistica – ha ideato e creato la Fondation de la Haute Horlogerie a Ginevra (di cui è presidente del comitato culturale).
Insomma, parliamo di un Cavaliere del Lavoro che, sopra ogni cosa, è l’orgoglioso presidente della Fondazione che porta il suo nome: la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte che quest’anno spegne 25 candeline, e che, per festeggiare, ha voluto regalare agli abbonati di Elle Decor il giornale che avete fra le mani, la cui finalità è, neanche a dirlo, quella di valorizzare i mestieri d’arte, la creatività, il design.

Nel 1995, in Italia, nessuno parlava di “Mestieri d’Arte” (non esisteva nemmeno l’espressione), mentre in Francia, dal 1976, una società pubblica “di incoraggiamento ai mestieri d’arte” (sema, poi diventata inma), voluta fortemente dall’allora presidente Valéry Giscard d’Estaing, li proteggeva e ne sfruttava il valore inestimabile, non solo in termini economici, ma anche di immagine nazionale. Qui, in Italia, per avere qualcosa di simile si è dovuto aspettare l’intuizione visionaria di un privato che ci ha messo del suo, in tutti i sensi, e che però oggi può vantare di aver raggiunto risultati che un quarto di secolo fa, sembravano fantascienza mecenatistica. L’artigianato è un mondo molto poco frequentato dalla nostra politica. Perché? «Perché per conoscerlo bisogna andare in giro per l’Italia e sa, i politici vanno di fretta, non sono usi a curiosare. L’artigianato è un mondo di nicchia che apparentemente non ha peso elettorale, ma ha grande valore. Ma vaglielo a spiegare».

Sin dall’inizio la Fondazione ha avviato un’intensa attività di ricerca scientifico-accademica, dando soprattutto spazio alla “cultura” dei mestieri d’arte, grazie principalmente a due collane editoriali pubblicate da Marsilio, che guardano alla grande tradizione del savoir-faire italiano, e insieme alle nuove declinazioni dell’artigianato contemporaneo. Lusso e grande artigianato, ovvero i valori del bello che seduce («Anche i trogloditi si ornavano di gioielli») e del bello intelligente, sono i due fari della carriera professionale del Nostro. «Per produrre bellezza ci vogliono maestri e i maestri di domani sono gli apprendisti di oggi. Anche Leonardo andò a bottega dal Verrocchio. I ragazzi devono capire che fare l’artigiano non è un ripiego e che Maestro d’Arte lo si diventa non solo per bravura manuale, ma anche per un preciso percorso culturale».

E per fare questo Cologni ha aperto, a Milano, la Creative Academy, un master postgraduate in cui selezionatissimi studenti provenienti da ogni angolo del mondo approfondiscono tematiche di design applicato. I più meritevoli sono poi inseriti nel mondo del lavoro all’interno delle Maison facenti capo alla holding Richemont, il cui presidente, Johann Rupert, insieme a Franco Cologni (e facendo tesoro dell’esperienza della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte) ha istituito nel 2016, a Ginevra, la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship al fine di valorizzare il mondo dei “maestri del fare” a livello internazionale. Insieme, nel 2018, le due istituzioni hanno organizzato a Venezia, alla Fondazione Cini, la mostra “Homo Faber” a cui, visto il successo e l’interesse del pubblico, stanno già lavorando per riproporla nell’autunno del prossimo anno.

Siamo, dunque, alla vigilia di un nuovo umanesimo artigianale? Riuscirà il nostro Paese, se non a eguagliare l’organizzazione francese di cui accennavamo poc’anzi, almeno a starle dietro in modo onorevole? «Guardi, noi e i francesi, in questo campo, abbiamo valori equivalenti, la differenza è che loro hanno potuto avvantaggiarsi di un’intelligenza politica che a noi è mancata. Rispetto a noi, sono avanti di almeno 25 anni». Cologni fa una pausa: «Anche se, a dire la verità, ora sono ventiquattro perché, nel frattempo, venticinque anni fa, siamo arrivati noi!».

Claudio Castellacci

Claudio Castellacci

Scrive, disegna, legge, fotografa, traduce, cura libri, inventa collane editoriali. Ha lavorato a lungo in California, a Los Angeles, e insegnato al Master di Giornalismo all’Università Cattolica di Milano. Oggi vive a Milano, talvolta in Svizzera.

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