Quando il talento sposa il territorio…per sempre

di Giovanna Marchello

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 28 aprile - 2024

Annangela Lovallo è l’ultima ricamatrice di professione di Avigliano, suggestivo centro della Basilicata dominato dal maestoso Castello di Lagopesole, eretto da Federico II di Svevia. Oltre ad aver dato i natali a giuristi di fama nazionale come Emanuele Gianturco, Nicola Coviello e Tommaso Claps, Avigliano è stata per secoli un centro di eccellenza dell’artigianato, dove operavano numerosi e abilissimi ebanisti, artefici del ferro battuto, ricamatrici e tessitrici, e che attirava clienti da tutta la regione.

Annangela Lovallo racconta le suggestioni di tutta una vita dedicata all’arte del ricamo in un piccolo centro della Basilicata, culla di un saper fare d’eccellenza. Una scelta controcorrente rispetto ai tempi, ma guidata da una sentita passione, dal rispetto per le tradizioni e da un sogno che si realizza.

«Quel mondo è finito negli anni Sessanta e Settanta,» ricorda la maestra. «Il lavoro artigianale è pesante e senza tutele, e quasi tutti hanno preferito lavorare nell’amministrazione pubblica, che elargiva impieghi fissi garantendo una stabilità economica.» Una scelta che Annangela non ha mai condiviso. «Per me il ricamo non è un lavoro, ma una ragione di vita. Ho imparato tutto da mia madre Melina, che a 101 anni ancora ricama e continua a essere il mio braccio destro, nonché la mia più fervida sostenitrice, anche se all’inizio non voleva che facessi un mestiere che per lei era stata una necessità, non una scelta. Quando morì mio nonno, infatti, mia nonna si ritrovò sola con cinque figli piccoli che non poteva mantenere, perché all’epoca la povertà era tanta. Mia madre, che era al secondo anno delle elementari, fu mandata in un collegio di suore a Mugnano di Napoli. Partì con una valigia di legno e per sette anni non fece mai ritorno a casa. Ha imparato a ricamare in collegio, tra tante sofferenze, e poi in un laboratorio che lavorava per le famiglie nobili di Napoli.» Tornata in famiglia allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, continua a lavorare e ad affinare le sue conoscenze, fino a diventare la più grande ricamatrice di Avigliano, producendo corredi per tutto il territorio.

«Io sono sempre stata attratta dal ricamo, ma mia madre diceva che dovevo studiare, per non essere costretta a vivere una vita di rinunce. Per farla contenta mi sono diplomata in ragioneria, ma alla fine l’ho spuntata, e con tanta fatica sono riuscita ad aprire la mia piccola bottega, che ho chiamato Il filo di Arianna, in un locale proprio sotto casa.»

In questo luogo, situato di fronte alla Basilica pontificia di Santa Maria del Carmine, Annangela Lovallo si dedica da più di 40 anni alla sua passione. «I punti e le tecniche sono rimasti invariati nei secoli, così come gli strumenti: ago, filo, ditale e telaio, anche se io non lo adopero, perché ricamo direttamente sulle dita. I decori invece cambiano a seconda delle tradizioni legate a ogni territorio. Ma quello che fa la differenza è la perfezione esecutiva e la fantasia della ricamatrice. Per me, tutto quello che vedevo era uno stimolo, e ancora adesso ho sempre nuovi progetti da realizzare.»

Alla costante ricerca della perfezione e di modi sempre più originali per esprimere la sua creatività, Annangela Lovallo è diventata provetta nella pittura ad ago, realizzando ricami che sembrano dipinti. «Ho anche creato dei medaglioni con delle miniature ricamate in due centimetri di tessuto. Ho venduto i primi esemplari, ma ho tenuto i successivi, che ora sono esposti nel mio Museo.»

Sì, perché negli anni è riuscita a realizzare un altro sogno: creare un Museo del costume tipico aviglianese, caratterizzato da un copricapo in tessuto – detto “tuaglia” – montato su una bacchetta orizzontale. Il ricamo ricopriva un ruolo centrale nel costume popolare, in quanto rappresentativo della creatività delle donne che, di generazione in generazione, trasmettevano e facevano evolvere il linguaggio figurativo legato a queste terre. Annoverato nelle guide tra i luoghi da vedere in città, questo piccolo scrigno di antiche tradizioni è stato creato senza alcun contributo né sostegno pubblico, ma solo grazie al lavoro delle mani di Annangela e della madre Melina, alla generosità delle loro compaesane, che hanno fatto dono di vecchi cimeli, e soprattutto grazie ai risparmi di una vita del fratello, con i quali ha potuto comprare i locali adiacenti alla bottega.

«Nessuno indossa più questi costumi, salvo qualche gruppo folcloristico nelle feste tradizionali. Nessuno li fa più, e io stessa ne confeziono ancora solo per il mio museo. Sono costumi molto difficili e lunghi da realizzare, che andrebbero in vendita a un prezzo che oggigiorno sarebbe proibitivo.»
Si sa che la vitalità del patrimonio culturale immateriale della nostra bella Italia viene assicurata dalla tenacia di quanti affrontano quotidianamente una strada lastricata di sacrificio e abnegazione, in un contesto non adeguatamente tutelato, normato e valorizzato. Ma l’ultima ricamatrice di Avigliano ci tiene a sottolineare un altro aspetto, non meno importante: «Io sono rimasta qui, nel mio paese. Mi hanno sempre detto che ero troppo brava, che per emergere me ne sarei dovuta andare lontano. Ma io ho scelto di restare. È in questo contesto, fatto di luoghi, profumi e sapori, che nasce tutto. Se vai via, ti snaturi. La tradizione deve rimanere dove si è originata e sono gli altri, da fuori, che devono venirla a scoprire, non il contrario.»

Giovanna Marchello

Giovanna Marchello

Cresciuta in un ambiente internazionale tra il Giappone, la Finlandia e l’Italia, appassionata di letteratura inglese, vive e lavora a Milano, dove si occupa da 30 anni di moda. Segue progetti culturali legati ai mestieri d’arte, collabora con alcune fondazioni ed è luxury goods contributor del mensile russo Kak Potratit.

CONDIVIDI