Il grande sogno chiamato finzione

di Andrea Tomasi

fotografie di Valeria Bono per kreativebit.com

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 27 settembre - 2023

«Credo che papà avesse una strategia ben precisa in mente: invitandomi a trovare la mia strada fuori dal laboratorio, senza che per forza questa coincidesse con la sua, mi ha invece spinto a osservare con più attenzione quello che lui stava facendo. E la sua, senza alcun dubbio, era una passione contagiosa. Ecco, se dovessi individuare il valore più alto che papà mi ha trasmesso, la sua prima virtù diventata poi mia, è la passione per quello che si fa. Che è certo il leitmotiv di ogni mestiere, ma del nostro in particolare. Siamo un meccanismo all’interno di un ingranaggio complesso destinato al grande pubblico e fondato sulle emozioni, se non ci mettessimo la passione comprometteremmo il risultato finale e il lavoro di tante altre persone».

 

Figlio d’arte, contagiato da una passione senza ritorno, Massimo Pieroni ha ereditato dal padre un laboratorio tra i più rinomati al mondo per la creazione di copricapi e armature di scena, veri pezzi di storia del cinema.

 

E la passione si percepisce chiaramente dalla voce di Massimo Pieroni, sia quando parla di questa o quell’icona transitata dal laboratorio a pochi passi dal Vaticano, sia soprattutto quando ricorda papà Bruno, figura divenuta leggendaria nel panorama cinematografico italiano e internazionale: fu lui, infatti, che nell’immediato secondo dopoguerra fondò quello che oggi si può senza dubbio considerare il più importante atelier al mondo per la realizzazione di cappelli, copricapi e corazze per film, serie TV, opere liriche e di prosa. «Tutto è cominciato negli anni Trenta, quando papà era garzone e poi artigiano presso la ditta Neri, che produceva fez e marinaretti per il regime fascista. Con l’apertura di Cinecittà nel 1937, si spostarono gradualmente verso la nuova industria cinematografica. Nel 1941, papà fu chiamato a occuparsi degli accessori di scena de La corona di ferro di Alessandro Blasetti, film che tra gli altri vedeva tra i protagonisti Luisa Ferida, la diva per eccellenza del fascismo. Fu il biglietto d’andata senza ritorno verso un altro mondo, anzi, verso mille altri mondi e storie».

Alla morte del proprietario della Neri, Bruno Pieroni decise di rilevare l’attività cambiandone il nome. Il successo arriva dopo qualche anno, non grazie al movimento neorealista che attraversa sceneggiatori e registi italiani dell’epoca, ma grazie a Hollywood. «Verso la fine degli anni Cinquanta», prosegue Massimo, «esplose la mania dei “sandaloni”, ovvero di quelle pellicole ambientate nell’antica Roma. Tanto per citarne due, ricordiamo lo Spartacus di Stanley Kubrick o Ben Hur, ancora oggi il film che ha vinto il maggior numero di Oscar. Cinecittà divenne quindi la capitale del cinema e papà si trovò a lavorare senza sosta per Hollywood. Fu un momento unico e irripetibile: pensi che per una scena del celeberrimo Cleopatra con Elizabeth Taylor dovette realizzare 1500 corazze per altrettante comparse. Oggi ne basterebbero dieci che grazie agli effetti speciali verrebbero moltiplicate all’infinito».

 

 

Stagione dopo stagione, il Laboratorio Pieroni si impone come punto di riferimento internazionale, grazie anche alla stretta collaborazione con un’altra realtà d’eccellenza italiana, la Sartoria Tirelli fondata dal collezionista di abiti storici Umberto Tirelli nel 1964. Ed è proprio negli atelier della sartoria che il giovanissimo Massimo affonda il suo primo ricordo professionale. «Sono cresciuto in bottega, anche perché pure mamma ci lavorava come modista. E così, da ragazzino, papà mi faceva sbrigare mille commissioni. Un giorno mi chiese di portare alcuni cappelli in Sartoria Tirelli, arrivai e c’era un silenzio di tomba. Nessuno fiatava, l’atmosfera era carica di tensione: al centro vidi un austero signore intento a visionare una gran quantità di capi con una minuzia che attirò la mia curiosità. Papà mi spiegò poi che era Luchino Visconti e che con lui bisognava prestare attenzione anche al più minimo dei dettagli. Un’altra delle lezioni che porto ancora oggi con me: il dettaglio fa la differenza tra un oggetto buono e uno eccellente».

Da poco più di dieci anni, papà Bruno non c’è più e Massimo porta avanti il laboratorio con l’aiuto della moglie Stefania, della figlia Evaluna e della mamma Gabriella, autrice dell’iconico cappello di Kate Winslet in Titanic e che a 94 anni si reca ancora ogni mattina tra i tavoli da lavoro. «Mi piace paragonarmi a un direttore d’orchestra, chiamato a far suonare al meglio diversi strumenti. Se la cura e l’impegno sono quelli di sempre, tante cose sono invece cambiate, a cominciare dai committenti. Oggi il nostro lavoro è per il 50% legato alle serie TV, per il 30% a lirica e teatro e per il restante 20% al cinema. Il nostro primo punto di riferimento, come sempre, resta il costumista, e se un tempo il confronto con i registi era pressoché una costante – e in molti casi una lezione vista la profonda cultura di alcuni di essi, vedi Visconti, Fellini o Pasolini – oggi è piuttosto raro. Il che facilita in un certo senso il processo, specie con gli americani che hanno un rispetto tale della nostra storia e della nostra conoscenza da darci indipendenza e fiducia totali».

 

 

Quello che non è cambiato è il momento di confronto con gli attori che dovranno indossare i copricapi e le armature del Laboratorio Pieroni, e lì si apre un ultimo flusso di ricordi e aneddoti. «Non scorderò mai Burt Lancaster, conosciuto sul set de I promessi sposi: un gigante di due metri. Oppure Monica Bellucci, un’attrice di infinita bellezza, simpatia e pazienza. Recentemente ho incontrato un altro mostro sacro, Anthony Hopkins, che sarà l’imperatore Vespasiano in una nuova serie TV ambientata nell’antica Roma. Con loro diventiamo anche medici e psicologi, spesso li aiutiamo a entrare nel personaggio, a capire come interpretarlo nei gesti e nella postura, specie quando si parla di film in costume. Perché prima di arrivare a realizzare un capo, cappello o armatura che sia, studiamo e ci immergiamo a fondo nella storia dell’epoca. È solo in questo modo che raggiungiamo il traguardo che ci siamo prefissati: trovare il bello e l’irraggiungibile, essere una parte importante di quel grande sogno che si chiama finzione».

 

Andrea Tomasi

Andrea Tomasi

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di “Homo Faber”. Dal 2020 dirige la “Homo Faber” Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e in altri Paesi extra-europei.

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