Le armi e le lettere

di Federica Sala

fotografie di Lorenzo Pennati

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 27 settembre - 2023

Conosco Gianluca Pacchioni da tanti anni. Ci siamo conosciuti quando entrambi eravamo in una fase della vita molto social e ci siamo subito trovati simpatici, sarà perché condividevamo tutti e due un amato passato francese i cui ricordi erano ancora molto vividi o perché andavamo a ballare negli stessi posti. Poi ci siamo persi di vista per ritrovarci, anni dopo, dentro un Padiglione della Biennale di Venezia. Da quel momento in poi ho avuto la fortuna di condividerne, a tratti, l’iter professionale e di conoscerlo anche nel suo universo privato di marito, figlio, fratello, padre e amico. Una costellazione di relazioni umane vissute con quel trasporto e con quella generosità che non manca mai anche nel suo lavoro e che sono il fuoco sacro che alimenta la sua produzione.

 

Amante della materia, sperimentatore e innovatore, Gianluca Pacchioni è un artista generoso e dinamico, in continua evoluzione. Lo stile inconfondibile dei suoi preziosi mobili sculturali si deve alle forme imperfette e raffinate.

 

 

Perché così è Gianluca: indivisibile. Non si può separare l’uomo, e i suoi amori, dalle sue opere, che sono proprio il frutto di queste sue emozioni.
In tutti questi anni ho avuto la possibilità di vedere la sua evoluzione professionale: se nei primi anni Duemila l’avrei forse definito un designer, perché la sua produzione era principalmente incentrata sulle luci, ora capisco che un designer Gianluca non lo è mai stato. Perché quelle luci non sono mai state “solo” luci ma sono sempre state sculture luminose, veicoli per un altrove.

 

 

Il movimento che creano, infatti, con il gioco di ombre ed il suono prodotto dal fruscio degli elementi, fanno parte dei meccanismi che ci raccontano l’artista che si cela dietro, il suo lato gentile al pari della sua forza. Per anni definito “Efesto” o “il re dei metalli”, Pacchioni ha lavorato acciaio, bronzo e ottone in tutte le loro possibilità, mosso quasi da un ancestrale spinta al dominio sulla materia, alla capacità di gestire la sua metamorfosi. Queste sculture, spesso funzionali come la libreria Collapse, che è tutt’ora uno dei suoi best seller, racchiudono tutta la perizia dell’artista nel piegare e trasformare la materia, nel saper renderla decorativa in una vorticosa danza che alterna alla ruvidità delle parti arrugginite lo scintillio lucido del metallo come nelle Koicea o nelle Cut.

Anno dopo anno, tentativo dopo tentativo, sempre mosso da un connubio di passione e di tenacia, di intuizione e slancio ma anche di rigore e disciplina, Gianluca è arrivato a padroneggiare le superfici metalliche inventando un linguaggio personale che l’ha portato a essere esposto in grandi mostre internazionali come Homo Faber, a diventare l’interprete delle arti italiane presso le ambasciate e i consolati nazionali in Francia e a New York, a collaborare con grandi gallerie internazionali fino ad arrivare alla recente asta organizzata a Cannes da Simon de Pury. Un crescendo quindi.

 

 

Un ritmato crescendo di maestria, di riconoscimenti, di traguardi raggiunti che l’hanno portato nel 2016 a essere nominato tra i Maestri dei Mestieri d’Arte dalla Fondazione Cologni e che oggi lo conducono tra queste righe, annoverandolo tra i virtuosi. Il virtuoso è colui che eccelle, che ha saputo perfezionare a tal punto la propria arte da renderla uno stile inconfondibile, cesellato giorno dopo giorno con pazienza e trasporto al contempo. Ed è in questo suo virtuosismo che risiede l’anima dell’artista, la sua grazia.

Proprio come nel bellissimo libro de Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, del 1528, in Gianluca Pacchioni troviamo quella ricomposizione tra le armi e le lettere che lo scrittore assevera come la qualità principale della grazia (la virtù per antonomasia). Ovvero una visione integra in cui le abilità nelle armi, che qui potremmo tradurre con le abilità manuali di realizzazione, devono trovare uguale proporzione e misura nello sviluppo delle arti e delle lettere, ovvero della cultura in generale. E proprio qui risiede la virtù di Pacchioni, nell’aver ricomposto quella che per anni è stata una frattura tra la mano e la mente.

 

 

Ed è sull’onda di questo continuo perfezionismo ed esigenza di sfidarsi, di aprire il fianco all’ignoranza per avere un nuovo terreno di gioco in cui apprendere, che l’artista, negli anni, ha iniziato a lavorare la pietra: marmi e onici preziose che scova in giro per il mondo come un novello Magellano già pregustandosi come trasformarle, come esaltarle, come renderne la potente voce nascosta in una scultura suadente, morbida nelle linee come nei coffee table Teshima o nelle consolle Under the Sheets. Sculture che sono tavoli o contenitori, come il Metaphysical Cube in onice ricomposta con una tecnica ispirata al kintsugi, o che sono opere d’arte a tutti gli effetti, ormai scevre da ogni possibile uso quotidiano, se non quello di elevare lo spirito.

 

 

Nascono così le sculture Eden, The Dancing Queen, fino alla recente installazione Time, presentata lo scorso aprile nel cortile di Palazzo Litta, dove è stata vista da 23.000 visitatori solo nella settimana del Fuorisalone. Una scultura che trae la sua forza dal cosmo e dal suo alter ego sotterraneo, cercando di porsi come un buco bianco tra i due grandi misteri dell’umanità. Con Time Gianluca si allontana dai limiti del mondo conosciuto per abbandonarsi ai flutti del mistero, di quei territori non emersi o sommersi che un artista riesce a rendere manifesti grazie all’intensità, o meglio alla virtuosità, del suo lavoro.

 

Federica Sala

Federica Sala

Federica Sala è una curatrice indipendente e un design advisor. Negli ultimi anni ha curato con Patricia Urquiola “ACastiglioni” alla Triennale di Milano e la recente mostra su Giulio Castelli per il neonato ADI Design Museum. Collabora con alcune testate e ha un libro in pubblicazione con Rizzoli International.

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