Alle spalle e nel DNA di Maurizio Tittarelli Rubboli, la sua bisnonna: Daria Vecchi, pioniera del lustro, protagonista dell’arte della maiolica, ingiustamente dimenticata. Ma anche un’altra figura femminile, sua madre, Ingina (Gina) che con le sorelle portò avanti la manifattura fino alla metà degli anni Cinquanta. Una storia da conoscere, prima di entrare nella tradizione innovata della ceramica a lustro umbra che si deve a Maurizio, il quale ha voluto e potuto aggiungere al cognome paterno quello della storica famiglia materna.
Maurizio Tittarelli Rubboli ripropone oggi la difficile arte della maiolica a lustro con una tecnica rivisitata e un orientamento estetico squisitamente contemporaneo. È nella perfezione formale delle opere che ritroviamo l’inconfondibile segno di appartenenza a un’autorevole tradizione familiare e a un segreto ben custodito.
Una vicenda che affonda le radici quindici decenni fa: Daria Vecchi (classe 1852), famiglia di artieri in quel di Fabriano, un “talento ceramico” (tanto da riuscire a mantenersi) e Paolo Rubboli, che dal 1873 già sperimenta la maiolica a lustro, sono accomunati anche dalla passione per le terre e dalla ricerca, proprio sui lustri metallici. Dal 1875 apriranno il loro opificio a Gualdo Tadino, nell’ex convento di San Francesco. Dal 1884 si sposta in via del Reggiaro (oggi via Discepoli) dove si trova tuttora. Nei dintorni, cave di argilla, ricca di ferro, e ad abbondare, nei boschi circostanti, la ginestra: indispensabili per ottenere il lustro. Impresa di coppia, dove la figura femminile ha peso e ruolo (maggiore forse dopo la scomparsa del marito nel 1890), sia nella gestione che nell’intraprendente apertura all’innovazione: ed ecco il passaggio dalle maioliche a fondo bianco a quelle a fondo blu cobalto. Un’impresa familiare e una tecnica così segreta che solo Daria e Paolo la praticano, sventato un tentativo di furto del taccuino con le formule degli smalti e dei lustri, che sarà poi tramandato ai figli.
Daria si identifica con la ceramica a lustro oro e rubino della tradizione umbra, che per un decennio si realizza solo a Gualdo, e sigla i suoi pezzi D.R. o D. Rubboli (quella D puntata volutamente trascritta a volte a indicare un nome maschile, Dario o Domenico). Nel 1899 le viene attribuita la medaglia d’oro al merito per l’attività industriale alla “Premiata Fabbrica di Majoliche Artistiche Daria Rubboli” all’Esposizione Generale Umbra di Perugia (ma già nel 1878 si annovera la partecipazione all’Exposition Universelle di Parigi). “Maestra del terzo fuoco” (riconoscimento post mortem), continua a proporre un raffinato repertorio di forme: piatti e vasi linguisticamente più ricercati, affiancano servizi e oggetti d’uso; variano i soggetti, seguendo i mutamenti del gusto, i temi sono dipinti in blu, e resta inalterata la qualità degli smalti, a virare felicemente sull’azzurro. Daria mancherà nel 1929, a chiusura di un decennio durante il quale caratterizza l’intera cittadina con una produzione di ceramiche a lustro su scala industriale. Entrano in campo i suoi discendenti: la fabbrica Rubboli, denominata Società Ceramica Umbra, incapperà nella crisi del 1929 e si scioglierà nel 1931. Dal 1934, a causa dei dissapori tra i suoi figli Lorenzo e Alberto, la ditta si scinde in due per qualche decennio.
Ora è in scena Maurizio che continua, e brillantemente rinnova, la tradizione di famiglia: intraprende il lavoro di ceramista a 26 anni, a sfatare il mito che vede l’artigiano-artista con le mani nelle terre e sul tornio necessariamente da una giovanissima età. Curioso, colto, studioso, gran viaggiatore, oltre che competente e profondo conoscitore di tecnica e regole di cui si è così bene appropriato da poterle e saperle infrangere. È intrigato dal movimento Arts & Crafts ma anche dalle lucentezze di Sutton Taylor e ne ha declinato i variegati stilemi all’insegna di una sua propria mediterraneità. Senza dimenticare (e lo ha scritto) quei «Ceci d’oro di Saffo [che] crescevano lungo le spiagge del mare», quindi la Grecia, né la Ravenna bizantina: «il dolce color d’oriental zaffiro di Dante». Ripropone così, con tecnica antica rivisitata per un “sentire contemporaneo”, una nuova grammatica e sintassi. A caratterizzarlo la sofisticata declinazione dei segreti Rubboli con il “lustro in vernice”, che si concretizza in seconda cottura: la riduzione dell’ossigeno con fumo di ginestra a 650° gli permette giochi di luce e soluzioni che la tecnica mastrogiorgesca non consentirebbe. Per un linguaggio dell’oggi che ridà vigore e originalità a una grande tradizione ceramica, pur non disdegnando la realizzazione anche di manufatti all’insegna dello storicismo della tradizione familiare. In parallelo alla sua attività degli ultimi due decenni, una scelta coraggiosa: l’impegno a tutelare e valorizzare la tecnica della ceramica a lustro di tradizione mastrogiorgesca.
Dopo il terremoto del 1997 ha rilevato gli spazi dove sorgeva la storica manifattura (con i forni a muffola del 1884, unici esistenti in Italia), raccogliendo ben 150 pezzi (dal 1853 al 1960) per non disperderli. Ha inoltre fondato nel 2007 l’Associazione culturale Rubboli e dato vita nel 2015, grazie all’amministrazione di Gualdo Tadino, la Regione Umbria e i finanziamenti europei, al Museo Opificio Rubboli (oggi prezioso patrimonio di proprietà comunale).