Centinaia di sagome, dime, elementi decorativi, lesene, modanature, semilavorati ancora grezzi di mobili classici e in stile… odore di legno intagliato, tornito, piallato…
Così era, all’inizio degli anni Ottanta, il grande laboratorio dell’azienda a conduzione familiare dei fratelli Boffi.
A metà degli anni Ottanta, una brillante regia ha fatto dialogare una realtà artigianale ancora incentrata su una produzione “classica” con i protagonisti del design industriale contemporaneo. Risultato? Un fertile innesto che ha arricchito le imprese di nuovi valori estetici, facendo altresì convergere competenze e specialità distinte verso un’espressione omogenea del talento creativo.
Nata nel 1928, alla periferia di Lentate sul Seveso, l’azienda produceva mobili classici e in stile, con una chiara aderenza ai canoni dello stile Luigi xv, Luigi xvi e Impero; elementi d’arredo che per decenni hanno riempito i grandi magazzini in Europa e negli Stati Uniti: da Harrods di Londra ai Lane Crawford
di Hong Kong, fino a Macy’s e Bloomingdale negli Stati Uniti. Mentre negli anni Sessanta e Settanta cresceva in Italia la disciplina del disegno industriale, i fratelli Boffi continuavano a produrre mobili classici, mantenendo in vita quella “cultura del fare” legata alla tradizione artigianale della lavorazione del legno. Poi nel 1986, con la nascita della fiera Abitare il Tempo a Verona, qualcosa cambiò: iniziai a realizzare, all’interno della manifestazione fieristica, mostre sperimentali nelle quali facevo incontrare la “cultura del fare”, rappresentata dai mobilieri del classico (che non avevano mai collaborato con i progettisti), con la “cultura del progetto”, espressa da designer e architetti (che non avevano mai frequentato le botteghe artigiane).
Con la mostra “La casa del desiderio” del 1987, introdussi un allestimento composto da diverse opere di vari autori come Adolfo Natalini, Luca Scacchetti, Marcello Pietrantoni, Vincenzo Pavan e realizzai un’installazione dove venivano messi a confronto alcuni semilavorati di mobili classici con mobili contemporanei che progettai per l’occasione e che furono realizzati dalla Fratelli Boffi. Una collezione, quest’ultima, che chiamai “Mobili plissettati” e che riprendeva tecniche e lavorazioni classiche, enfatizzando addirittura l’uso delle scanalature, caratteri propri delle colonne di classica memoria. L’installazione aprì così il percorso dal classico al contemporaneo, non solo praticato per la prima volta dai fratelli Boffi, ma successivamente seguito da tante altre aziende e da altri progettisti; un percorso che, in quasi quindici anni, caratterizzò il valore aggiunto di Abitare il Tempo.
Alla serie “Mobili plissettati” ne seguirono altre, con opere che vennero esposte in diverse mostre e fiere, in Italia e all’estero: alla fiera di Parigi, ai magazzini Liberty di Londra, ai magazzini Seibu a Tokyo fino al Museo d’arte Decorativa di Parigi. La Fratelli Boffi si arricchì quindi di una nuova immagine: dalla tradizione alla contemporaneità. Questa doppia qualità, dove alla cultura del fare nella lavorazione del mobile classico, ben conservata e praticata, si univa il progetto contemporaneo, rappresentò una forte attrattiva per molti progettisti. Nacquero così numerose collaborazioni con architetti per la realizzazione di oggetti o intere collezioni per alberghi, come quelle progettate da Philippe Starck e Nigel Coats, a cui seguirono progetti di autori italiani conosciuti per il loro impegno di sperimentazione e innovazione nel mondo del design come Ferruccio Laviani e Aldo Cibic.
Oggi l’azienda, animata soprattutto dall’architetto Alberto Boffi, ultimo della generazione, si colloca tra le imprese con un alto valore di capacità e disponibilità verso una progettazione che guarda alla committenza sempre più internazionale, senza perdere la propria fisionomia di azienda artigiana legata a un nostro territorio di grande tradizione.