Mi sono mossa per l’intero anno 2023, da gennaio a dicembre, sul territorio nazionale, regione dopo regione, con l’obiettivo di scoprire e poi mappare coloro che vivono di artigianato d’eccellenza e raccontano saperi artigianali rari e probabilmente in sparizione. Grazie alla ricerca ho riconosciuto una splendida Italia, che conserva, anche nelle sue province, grandi eccellenze. Gemme nascoste e non note, o meglio conosciute solo in zona o, paradosso, all’estero, ma non nel resto del Bel Paese.
L’indagine è nata per volontà della Fondazione Cologni che da molti anni si batte per la valorizzazione e trasmissione dell’artigianato d’eccellenza e della sua mirabile bellezza. Una visione lungimirante e di conoscenza. Mappare i saperi artigianali rari e in via di sparizione ha il nobile fine di evitare, se possibile, la loro estinzione o semplicemente di estrarli dall’oblio, dando loro voce. Un’urgenza che purtroppo a pochi pare tale. Una doverosa ricerca sul campo. Bottega dopo bottega.
La Fondazione Cologni promuove una mappatura dei mestieri d’arte italiani più rari. Un eccezionale viaggio alla scoperta delle origini e delle caratteristiche di saperi artigianali unici, profondamente radicati nel territorio, dei Maestri e delle loro storie, affinché non si perdano.
La Fondazione Cologni, per voce del suo direttore generale Alberto Cavalli, ha voluto intraprendere tale percorso sulla falsa riga del ciclopico lavoro svolto, dal 2014 ad oggi, nel Regno Unito dal Presidente di Heritage Crafts, l’ex principe di Galles e attuale re, per costituire, attraverso un gruppo di lavoro, una Red List of Endangered Crafts, ossia una lista rossa dell’artigianato in pericolo di estinzione, con l’obiettivo di creare un elenco completo dell’artigianato storico e tradizionale. Le sue parole sono illuminanti: «We would like to see the government recognise the importance of traditional craft skills as part of our cultural heritage, and take action to ensure they are passed on to the next generation.»
All’interno del magmatico mondo dei saperi artigianali l’individuazione di una rarità o del pericolo di una sua eventuale sparizione è indagine complessa, che necessita di competenze trasversali. L’artigianato che ci viene proposto, tra bancarelle, fiere e web, è spesso lontano dai “canoni base” dei saperi eccellenti da salvaguardare. L’attenzione si poteva, allora, rivolgere sui patrimoni che rappresentano l’eccellenza dell’artigianato italiano, sui grandi maestri già in buona parte conosciuti. Ma anche questa non è sembrata la via utile alla mappatura.
Nella categoria “Artigianato raro o a rischio di sparizione” abbiamo deciso di far rientrare solo i mestieri tradizionali d’eccellenza, praticati da più generazioni oppure appresi dopo una formazione presso un anziano maestro e caratterizzati non solo dalla grande abilità manuale, ma anche dalla conoscenza dei materiali, delle forme e delle tecniche tradizionali, che a causa di trasformazioni sociali, culturali e di mercato si stanno perdendo. Sono mestieri storicamente e culturalmente riconosciuti in un’area territoriale precisa (regioni, province, comuni), che raccontano le tradizioni di comunità identitarie. Sono mestieri che diventano “a rischio di sparizione” quando gli artigiani che li praticano sono gli ultimi detentori del sapere e non riescono a trasmettere l’abilità artigianale alle nuove generazioni, oppure sono un numero esiguo nel territorio di riferimento. Spesso non li conosciamo.
L’individuazione delle botteghe appartenenti alla categoria delle raritas prevede uno studio composito. Innanzitutto, la conoscenza della storia dell’artigianato locale di ogni regione, poi la pratica sul campo (metodo di analisi proprio dell’antropologia) e infine la schedatura dei beni demoetnoantropologici (materiali e immateriali). Senza scomodare l’illustre antropologo strutturalista Malinowski, che per primo evidenziò l’importanza dell’indagine diretta sul campo della specificità di ogni cultura, ho ritenuto fondamentale stabilire un metodo di analisi basato su un unico osservatore. L’osservazione partecipante. Come evidenzia un altro antropologo, Mondher Kilani, «la presenza sul campo è anche un’esperienza personale, una situazione di interazione dinamica – un dialogo continuo fra l’interprete e l’interpretato – e un processo di conoscenza che fa intervenire problemi e livelli differenti di risoluzione di essi.»
Al fine di fissare i dati raccolti nell’inchiesta e ottenere un metodo reiterabile nel tempo, è stato necessario immergersi in un altro ambito, quello dell’analisi catalografica con la creazione di uno strumento, la “scheda inventariale tipo”, che schematizzasse i campi identificativi essenziali, elaborata semplificando le schede di catalogazione ministeriali dell’ICCD (Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione) utilizzate per la rilevazione dei beni culturali. Per svolgere un’analisi esaustiva sulle diverse e peculiari capacità artigianali presenti in ogni regione, è stato basilare uno studio delle fonti storiche. La comprensione delle specificità dei manufatti prodotti nel mondo agro-pastorale italiano nei primi trent’anni del Novecento è la base per capire la cultura materiale e immateriale di una determinata area. Al riguardo è stata utile la riscoperta delle prime grandi mostre etnografiche di “arte popolare”, che permettono un’immersione nei manufatti artigianali eccellenti, raccolti ed estratti dalla civiltà agro-pastorale e dal quotidiano, per osservarli in virtù della loro bellezza e della “narrazione” culturale.
L’inizio dell’interesse risale alla fine dell’Ottocento con la prima mostra allestita a Palermo da Giuseppe Pitrè, seguita poi dalla prima grande “Mostra di Etnografia Italiana” nel 1911, curata da Lamberto Loria, con l’acquisizione di materiali provenienti da tutte le regioni, manufatti in grado di raccontare gli usi e i costumi popolari. Scriveva Luigi Pigorini, nel lontano 1881, che «è necessario comprendere ciò che hanno tuttora di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti, nelle fogge degli abiti.» Infine, il volume “Arte popolare italiana” di Paolo Toschi, del 1960, è stato un testo fondamentale, una bussola per la mia ricerca. Regione dopo regione ho studiato le “storiche” eccellenze regionali e da questo elenco sono partita per scoprire se, dopo sessant’anni, esistessero ancora le maestranze in grado di realizzare e raccontare quei saperi.
Ho indagato sul web, ho parlato con esperti del settore e sono partita. L’indagine ha previsto l’incontro da quattro a dieci artigiani per regione, previa analisi delle province prescelte per le loro caratteristiche. In regioni molto grandi è stato necessario fare scelte analitiche legate all’identità della comunità e ai saperi artigianali di tradizione. Ho svolto il sopralluogo presso i laboratori artigiani effettuando un’intervista (strutturata o semi strutturata). Oltre a ciò ho realizzato una piccola documentazione fotografica. Rientrata alla “base” ho compilato le schede: tre maestri artigiani per venti regioni, un totale di ottantasette artigiani intervistati e sessanta schede. La ricerca è stata rivolta, sempre e solo, alle botteghe attive, quelle che, seppur nella tradizione, affrontano il mercato contemporaneo e vivono grazie al loro lavoro. Spesso sono piccole aziende a conduzione famigliare che si tramandano di padre in figlio il mestiere. Hanno grandi richieste dagli acquirenti, facoltosi, molto spesso stranieri, in grado di apprezzare la loro produzione e l’eccellente qualità.
I saperi artigianali significativi, profondamente radicati nel territorio, raccontati da Toschi nel lontano 1960, generazione dopo generazione esistono ancora e negli articoli che compongono questo magazine potrete conoscere le loro peculiarità e apprezzare la maestria di alcuni dei loro interpreti. Le eccellenze rare finora mappate, seppure a macchia di leopardo, sono l’inizio di un sentiero ancora da scoprire, con un lavoro di investigazione e approfondimento che potrei fare per anni, e ci dicono che è possibile, citando ancora Kilano, una sintesi fra il passato e il presente, una nuova forma di modernità che concili le esigenze economiche e sociali con le nuove aspirazioni e l’equilibrio ecologico.